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Conoscere per vivere: l’apprendimento come cura di sé
La conoscenza come pratica di libertà e cura
FORMAZIONE
Keren Ponzo
9/12/20255 min read


L’essere umano, sin dai primi istanti della sua vita, è immerso in un flusso di conoscenze, di linguaggi, di simboli che lo formano e lo trasformano. L’infanzia e la giovinezza sono spesso considerate le stagioni privilegiate dell’apprendimento, quelle in cui la memoria è fresca e la mente più disponibile a immagazzinare nozioni, tecniche, esperienze. Eppure pensare la conoscenza come confinata a quelle età significa ridurre drasticamente la nostra possibilità di trasformazione. L’adulto che smette di imparare condanna se stesso a una forma di stagnazione che non è solo culturale ma esistenziale: interrompe la possibilità di rinnovarsi, di mantenere viva la relazione con il mondo e con la propria interiorità.
Apprendere in età adulta non è un capriccio o un lusso, ma un’esigenza profonda, che riguarda tanto la sopravvivenza psichica quanto la qualità della vita. La conoscenza, quando è coltivata con cura, diventa infatti una forma di cura di sé, un esercizio attraverso cui si sperimenta la libertà. Non si tratta semplicemente di accumulare nuove nozioni, come se la mente fosse un magazzino, ma di affinare la capacità di interrogare il reale, di mettersi in discussione, di destabilizzare le certezze che troppo facilmente si trasformano in gabbie.
La vita adulta porta con sé il rischio di una chiusura: il lavoro, le responsabilità familiari, la pressione sociale inducono spesso a pensare che l’identità sia ormai definita e che il sapere acquisito basti a orientarsi. È in questo momento che la conoscenza assume la funzione più radicale: quella di rompere le abitudini mentali, di far emergere nuove prospettive, di offrire un linguaggio per nominare ciò che ancora non si conosce di sé e del mondo. Continuare a imparare significa rifiutare la cristallizzazione, restare disponibili a mutare.
La conoscenza è dunque un esercizio di libertà. Libertà dalle narrazioni dominanti che ci vogliono passivi consumatori di informazioni. Libertà dalle immagini sociali che pretendono di definire chi siamo e quale debba essere il nostro posto. Libertà, infine, dalle catene interiori che costruiscono identità rigide e incapaci di accogliere il divenire. L’adulto che apprende riconosce di non possedere una verità definitiva e fa della ricerca una pratica quotidiana.
La conoscenza è anche una forma di resistenza all’omologazione. In una società che tende a trasformare i saperi in competenze immediatamente spendibili, in strumenti utili al mercato del lavoro, scegliere di imparare ciò che non ha un’utilità immediata diventa un atto di sovversione. Leggere un testo filosofico, avvicinarsi a una lingua straniera, comprendere i fondamenti di una disciplina scientifica non per un guadagno economico ma per la gioia stessa del sapere, significa rivendicare la propria autonomia. L’adulto che apprende senza finalità utilitaristiche riconquista spazi di gratuità, riafferma il valore del sapere come nutrimento dell’anima.
Conoscere è prendersi cura di sé. Non nel senso superficiale di un’auto-miglioria funzionale al successo sociale, ma come pratica etica che costruisce un rapporto diverso con il proprio io. Apprendere è un modo di ascoltare le proprie domande, di accogliere le inquietudini che abitano l’esistenza. La conoscenza, in questo senso, non fornisce certezze rassicuranti ma apre varchi: ci costringe a confrontarci con l’alterità, a fare i conti con l’imprevisto, a scoprire che l’identità non è mai compiuta ma sempre in divenire.
La dimensione della cura è visibile proprio nel fatto che imparare richiede tempo, dedizione, attenzione: qualità che contrastano con la frenesia dell’efficienza contemporanea. Darsi il tempo di leggere, di studiare, di approfondire significa sottrarsi alla logica della produttività cieca e scegliere invece la lentezza come spazio di rigenerazione. La conoscenza diventa così una pratica del corpo e dello spirito insieme, un modo per rallentare e radicarsi, per dare forma a un sé che non è ridotto a funzione sociale.
Si potrebbe pensare che questa tensione appartenga a pochi privilegiati, a chi ha tempo o risorse. Ma la storia dimostra che il desiderio di sapere è universale e può fiorire anche nelle condizioni più difficili. Non c’è adulto che non possa, in qualche misura, riaprire il cammino dell’apprendimento: attraverso i libri, le conversazioni, la musica, l’arte, il confronto con le nuove generazioni. Non si tratta di iscriversi a un corso universitario, ma di mantenere viva la disponibilità ad accogliere ciò che non si conosce.
La conoscenza è anche relazione. Non si apprende mai da soli, anche quando si legge in silenzio: c’è sempre un autore, una tradizione, una comunità di pensiero che ci accompagna. L’adulto che continua a imparare rinnova la possibilità di costruire legami, di condividere percorsi di senso, di trasmettere a sua volta ciò che ha appreso. Imparare è sempre anche insegnare, non perché si debba diventare docenti, ma perché ogni atto di conoscenza arricchisce lo spazio comune.
C’è poi un altro aspetto fondamentale: imparare da adulti permette di tenere viva la capacità di meravigliarsi. I bambini imparano spinti da un senso di stupore naturale; l’adulto, spesso ingabbiato nelle abitudini, perde questa freschezza. Coltivare il sapere restituisce lo sguardo meravigliato sul mondo, la sensazione che nulla sia mai definitivamente scontato. In questo senso la conoscenza non è soltanto cura di sé ma anche cura del mondo, perché invita a guardarlo con occhi sempre nuovi.
La conoscenza, infine, permette di attraversare meglio la fragilità. L’adulto sa che la vita non è fatta solo di conquiste, ma anche di perdite, di cadute, di momenti di smarrimento. Continuare a imparare significa avere strumenti più ricchi per affrontare la complessità dell’esistenza. Non ci rende invulnerabili, ma ci offre linguaggi per nominare il dolore, prospettive per affrontarlo, immaginari per trasformarlo.
In questo senso, conoscere è un atto di coraggio. È il rifiuto di rimanere immobili, di accettare passivamente il già dato. È un gesto politico, perché trasforma l’individuo e lo rende capace di interrogare le strutture che lo governano. È un gesto etico, perché implica la responsabilità di confrontarsi con la verità, con la pluralità, con la differenza. È un gesto estetico, perché dà forma a un sé più ricco, più complesso, più capace di risuonare con il mondo.
Chi da adulto sceglie di imparare non si limita a colmare lacune, ma si mette in cammino su una strada che non ha fine. Ogni nuova conoscenza apre domande ulteriori, ogni risposta conduce ad altre possibilità. È in questo movimento infinito che si gioca la cura di sé: non nel raggiungimento di una perfezione irraggiungibile, ma nel mantenere vivo il desiderio. Desiderio di sapere, desiderio di trasformarsi, desiderio di restare fedeli a quella vocazione originaria che fa dell’uomo un essere che, per vivere, deve sempre imparare.
Questa una bibliografia essenziale che può accompagnare e approfondire i temi trattati:
Michel Foucault, L’ermeneutica del soggetto, Feltrinelli, 2003.
Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, 2005.
Martha C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, 2006.
Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, 2000.
Ivan Illich, Descolarizzare la società, Mondadori, 1972.
Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi, EGA, 2011.
Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, 2000.
Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, 2011.
Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, 2007.
Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012.
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